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Parlare e lavorare

 

Quella della parola e del linguaggio verbale è una pratica fortemente inscritta in tutte le pratiche lavorative e quindi nel lavoro all’interno delle organizzazioni. Che si lavori come artigiano, operaio, medico o professore, il parlare, e il parlare in modo competente e adottando un linguaggio adeguato alla propria professione, è una delle competenze professionali che si devono necessariamente esprimere. (Gli argomenti di questo post sono sviluppati nel libro "Disabilità, famiglia e servizi")

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Ogni organizzazione ha un suo vocabolario, che esprime e contribuisce a creare i significati che orientano le interazioni fra i suoi membri. [i vocabolari organizzativi…] sono fatti di artefatti simbolici. Artefatti perché scaturiscono dalle interazioni organizzative; simbolici perché non sono cose, fisse e univoche, ma segni suscettibili di avere significati mutevoli e molteplici. (Bifulco, 2002)

È vero, però, che non in tutte le professioni e le organizzazioni la parola è uno strumento che ha la stessa rilevanza, anche se, soprattutto nel mondo contemporaneo, il lavoro e le organizzazioni di ogni genere hanno sempre più contenuti e produzioni di tipo immateriale (Olivetti Manoukian, 1998)

Fatta questa precisazione, però, ci sono professioni e organizzazioni, che si collocano nel mondo dei servizi, che più di altre hanno produzioni immateriali e che, soprattutto, usano la parola e il linguaggio parlato come strumento di lavoro prevalente, per le quali parlare è un lavoro non solo un mezzo, [e] lavorare vuol dire mettere in atto pratiche discorsive competenti (Bifulco, 2002):

In queste organizzazioni il lavoro è fondato principalmente sulla riproduzione di pratiche discorsive competenti e, perciò, il linguaggio diventa una forma situata di mediazione linguistica dell’attività lavorativa. (Bruni; Gherardi, 2007).

Possiamo definire conversazione istituzionale il parlare come attività lavorativa, per distinguerla dalla conversazione ordinaria che si può riferire a tutte le altre occasioni di parola:

Conversazione istituzionale, ossia volta allo svolgimento del lavoro e alla riproduzione di modelli d’interazione che danno stabilità alle pratiche lavorative. […] Attraverso pratiche discorsive situate, alcuni tipi di lavoro vengono prodotti nell’interazione tra un/a professionista, rappresentante istituzionale, e gli/le utenti dell’istituzione. Così facendo, nell’interazione tra professionisti ed utenti, l’istituzione viene riprodotta.

Le caratteristiche della conversazione istituzionale sono tre:

  1. l’interazione istituzionale implica l’orientamento di almeno uno dei partecipanti ad uno scopo, compito o identità specificamente associato all’istituzione in questione […]
  2. l’interazione istituzionale può implicare la presenza di vincoli specifici su di uno o su entrambi i partecipanti, che li possono usare come risorse specifiche nell’interazione in corso;
  3. la conversazione istituzionale può essere associata a schemi interpretativi e a procedure che sono specifiche di quel particolare contesto istituzionale (Bruni; Gherardi, 2007)

È attraverso le conversazioni istituzionali che avviene la produzione nei servizi sociali, sanitari ed educativi. Anche la produzione della diagnosi è un processo negoziale, i servizi vengono costruiti con la collaborazione dei clienti come costruzioni di significati, problemi e oggetti di lavoro (Bifulco, 2002): costruire formulare insieme la diagnosi o costruire oggetti di lavoro comuni sono processi di lavoro che utilizzano pratiche discorsive che dipendono e vengono modellate dal contesto in cui si svolgono, e che, a loro volta, modificano e producono il contesto di produzione organizzativa.

Un effetto, se si vuole indiretto ma molto rilevante nelle dinamiche organizzative, dell’utilizzo di specifiche pratiche discorsive nella produzione dei servizi, è quello di contribuire a costruire identità sociali situate: le identità degli utenti, dei professionisti e delle istituzioni a cui appartengono si producono anch’esse, quindi, attraverso le conversazioni istituzionali tra i diversi soggetti interessati alla produzione del servizio, e si configurano come processi intersoggettivi di elaborazione di significati attraverso cui gli attori si riconoscono reciprocamente come membri dell’organizzazione (Bifulco, 2002).

Quindi per la produzione di identità e la costruzione dei servizi sono necessarie narrazioni, che sono modi per creare e negoziare significati, identità e continuità temporale (Bifulco, 2002). Dalla ricchezza di queste narrazioni dipende la ricchezza dei significati, e quindi dei servizi, che si producono.

Lavorare, dunque, vuol dire anche mettere in atto pratiche discorsive competenti, cioè appropriate rispetto al compito in situazione (così come comunemente inteso nella professione o nell’occupazione), al ruolo organizzativo che si intende interpretare, nonché rispetto alle regole formali e informali dell’organizzazione dove si lavora, ai confini pubblico/privato e alle relazioni interpersonali con i colleghi. (Bruni; Gherardi, 2007)


Bibliografia

Bauman Zygmunt (2003). Intervista sull’identità. A cura di Benedetto Vecchi. Roma-Bari: Editori Laterza

Bifulco, Lavinia (2002). Che cos’è una organizzazione. Roma: Carocci.

Bruni, Attila; Gherardi, Silvia (2007). Studiare le pratiche lavorative. Bologna: Il Mulino

Olivetti Manoukian, Franca (2009) Perché oggi lavorare con le parole. In: Animazione Sociale, n° 1

Olivetti Manoukian, Franca (1998). Produrre servizi. Lavorare con oggetti immateriali. Bologna: Il Mulino.

 

Lorenzo Fronte
sociologo, educatore
consulenza, formazione e ricerca a orientamento psicosociologico

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