Questo post è la sintesi del lavoro di ricerca-formazione “Sulla soglia del centro”, realizzato nei Centri Diurni per persone con Disabilità (CDD) di Fondazione Piatti (si può trovare qui un articolo pubblicato su Animazione Sociale e qui il libro "Disabilità, famiglia e servizi", che tratta diffusamente della ricerca).

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Una delle questioni che i servizi e gli operatori devono affrontare oggi è quella di riuscire a considerare adeguatamente, nel proprio lavoro, le rappresentazioni della loro utenza, di chi la rappresenta e del contesto nel quale si trova, in quanto, nelle organizzazioni che lavorano con le persone, la produzione del servizio viene determinata dalla produzione di significati realizzata da tutti gli attori coinvolti.

In particolare nei servizi per persone con gravi disabilità, risulta evidente quanto questo lavoro di negoziazione sia molto complicato da realizzare con chi viene considerato il destinatario principale degli interventi: le persone con disabilità ospiti dei servizi. Qui la costruzione delle rappresentazioni dei significati da attribuire ai percorsi che si realizzano deve essere attuata in larga parte con chi rappresenta gli ospiti.

Per questo, lavorare attorno al tema di come organizzare luoghi, attività e competenze adeguati al lavoro di produzione di significati condivisi, risulta rilevante per un servizio che si occupa di persone con disabilità: permette alle famiglie e alle equipe di confrontarsi sulle reciproche rappresentazioni costruendo quella che, simbolicamente, è la soglia del centro.

Di questi argomenti ci siamo occupati in una recente ricerca-formazione promossa da Anffas Varese e svolta in collaborazione con un gruppo di operatori dei quattro Centri Diurni per persone con Disabilità (CDD) gestiti dalla Fondazione Renato Piatti onlus di Varese, che, oltre ad interessarsi dei processi di lavoro interni alle equipe (attraverso incontri di gruppo e analisi dei documenti utilizzati nei CDD), ha interloquito in modo consistente con i famigliari degli ospiti dei centri (attraverso interviste semistrutturate).

La raccolta di questo duplice sguardo, al di qua e al di là della soglia del centro, ci ha permesso di arrivare ad una prima sintesi delle rappresentazioni di familiari e operatori in quattro principali aree problematiche:

  1. la comunicazione tra familiari e servizi attraverso le dimensioni della frequenza della comunicazione della vicinanza emotiva percepita. Per descrivere gli esti riguardo a quest’area è stato costruito un diagramma che ha messo in relazione le due dimensioni, nel quale sono collocati diversi elementi emersi dalla ricerca ed in particolare dalle interviste alle famiglie;
  2. le immagini delle finalità dei CDD tra centro sociale, scuola, laboratorio, sollievo o supporto e le rispettive funzioni degli operatori che da queste rappresentazioni se ne deducono: animatori, insegnanti, tutor, badanti o terapeuti;
  3. la concezione della disabilità, al di là di ipotesi codificate che informano l’operato dei servizi, ma tenendo in considerazione il vissuto di chi, quotidianamente, entra in relazione con persone con disabilità. La disabilità è, quindi considerata: nella veste di esperto, descrivendo i comportamenti della persona con disabilità, attraverso le competenze della persona con disabilità, recuperandone gli aspetti che si considerano di normalità del vivere quotidiano, come una malattia, come ciò che rende la persona con disabilità un eterno bambino;
  4. il tempo, attraverso le dimensioni del quotidiano, del futuro prossimo, del futuro a lungo termine e dell’età. Dal rapporto tra la quotidianità che viene descritta come routinaria e le altre dimensioni si riconoscono alcune fatiche che soprattutto i familiari, ma anche altri che stanno vicino alle persone con disabilità, fanno: la fatica del tempo che si è fermato quando la si mette in relazione con il futuro prossimo che ci si aspetta rimanga uguale al presente; la fatica del tempo senza età se la si rapporta all’età delle persone con disabilità che anche con il passare dell’età richiedono sempre cure e attenzioni analoghe; la fatica del tempo che non c’è più, pensando ad un futuro lontano, che provoca angoscia.
    Per affrontare queste fatiche si individuano due antidoti che mettono in relazione l’età con le dimensioni del futuro: l’antidoto del cogliere i cambiamenti, per il quale se è vero che con l’aumentare dell’età le cure e le attenzioni son prevalentemente analoghe, è anche ver che si possono riconoscere numerosi cambiamenti in ordine ai desideri, alle aspirazioni, ai sentimenti, alle competenze che danno il segno tangibile di una crescita in corso; l’antidoto dello sviluppare reciproche autonomie che permette sia alle persone con disabilità che a chi gli sta vicino di immaginarsi un futuro anche a lungo termine, moderando l’angoscia che può comportare.

Queste rappresentazioni sono dense di ambivalenze, incertezze, difficoltà, desideri, che, inevitabilmente, vengono portate all’interno dei percorsi delle persone con disabilità nei servizi, che non sono sempre in grado di rappresentarsi, o quantomeno di farlo completamente: sono altri soggetti, tipicamente i famigliari, che rappresentano le loro istanze e bisogni all’interno dei processi di cura. Questa azione di rappresentarsi o di essere rappresentati assume un ruolo determinante nella produzione dei servizi:

  • investendo una ridefinizione dei luoghi in cui questi servizi si realizzano e delle attività che li caratterizzano, che allora non sono solo quelli della riabilitazione o delle attività educative, ma diventano rilevanti anche quelli della comunicazione e dello scambi di significati tra famiglie e servizi. Questi luoghi e queste attività vanno, perciò, pensati e progettati;
  • riorientando le ipotesi su chi siano i principali clienti di questi servizi, che oltre alle persone con disabilità accolte devono tenere in conto anche i loro caregiver, costruendo nuove rappresentazioni di chi siano e includendoli nella costruzione dei percorsi educativi e dei progetti riabilitativi.